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Alla scoperta di Burano: 7 curiosità sull’isola dei merletti

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Burano si sviluppa per meno di un chilometro quadrato di superficie e ha una popolazione di poco più di 2mila abitanti, ma è uno scrigno di storia, arte e tradizione. La piccola isola nel cuore della Laguna di Venezia è famosa per la secolare arte della lavorazione del merletto e per le coloratissime case dei pescatori che affacciano sui canali. Ma non solo.

A Burano c’è un campanile storto che fa “concorrenza” in quanto a pendenza alla celebre Torre di Pisa e nei forni e nelle pasticcerie si trovano dei golosi biscotti che sono stati inventati dalle mogli dei pescatori. La ricetta si è arricchita con il tempo, ma rimane una specialità degli abitanti dell’isola. 

Il piccolo centro ha iniziato a essere popolato intorno al V secolo (anche se alcune fonti sostengono l’esistenza di insediamenti precedenti) e da allora è sempre stato abitato. I “buranelli” hanno dato forma a una sorta di Venezia in miniatura e i canali e i ponti che attraversano l’isola non hanno nulla da invidiare a quelli della “Serenissima”.

Scoprite qui 7 curiosità su Burano e immergetevi nel fascino senza tempo di un’isola che ha attraversato i secoli conservando intatta la propria identità.

Un nome di vento e di storia

Il nome di Burano fa pensare alla Bora e in effetti il vento che soffia da Nord/Est ha a che fare con l’etimologia della parola. Anche se in maniera un po’ indiretta.

Secondo la tradizione, Burano sarebbe stata fondata dagli abitanti del vicino insediamento di Altino in fuga dai barbari. Gli esuli avrebbero deciso di chiamare l’isola come una delle sei porte della loro città e la scelta sarebbe ricaduta sulla “Porta Boreana”, così detta perché affacciava nella direzione da cui soffia la Bora.

Ma per l’origine del nome di Burano esiste anche un’altra spiegazione. In epoca romana, l’isola aveva una superficie molto più estesa e ospitava diversi fondi agricoli. In tal senso, alcuni storici ritengono che il toponimo “Burano” derivi dal nome del proprietario terriero che li possedeva, un certo Bu(r)rius o Borius.

Una tavolozza di colori

Le case di Burano sono una tavolozza di colori e rendono inconfondibile il paesaggio dell’isola. Ma l’origine del loro aspetto rimane poco chiara e lascia spazio a diverse ipotesi.

Secondo una versione, le facciate gialle, rosse e via dicendo permettevano ai pescatori e ai barcaioli di ritrovare la propria abitazione nella nebbia… e in mezzo ai fumi dell’alcool. Per un’altra, i colori diversi delle case erano una sorta di simbolo familiare. In passato (e in realtà ancora oggi), a Burano c’erano pochi cognomi molto diffusi e ogni tinta identificava una famiglia.

Tra le tante storie ce n’è anche una che racconta che le case siano multicolori perché gli interventi per sistemare le facciate venivano fatti con il materiale a disposizione al momento. E un’ulteriore versione sostiene che le pitture differenti servivano a delimitare le proprietà.

Comunque sia, la tradizione delle abitazioni di colori diversi è diventata un “marchio di fabbrica” di Burano e ha trovato la sua massima espressione nella “Casa di Bepi Suà”. Quest’ultima non solo presenta una facciata multicolore, ma è anche decorata con una gran varietà di motivi geometrici.

Non (solo) un’isola, ma un arcipelago

Burano è considerata un’isola, ma in realtà è un arcipelago. Il piccolo insediamento nel cuore della Laguna di Venezia è composto da quattro isolotti delimitati dai canali Pontinello, Giudecca e Terranova ed è organizzato in cinque “sestieri” (l’equivalente veneziano dei quartieri).

San Mauro, Giudecca, San Martino Sinistra, San Martino Destra e Terranova sono collegati tra loro da otto ponti, che permettono di percorre tutta Burano a piedi e rappresentano una delle attrazioni dell’isola. Il più famoso è il cosiddetto ponte Tre Ponti, che collega i sestieri di Giudecca, San Mauro e San Martino Sinistra.

Il ponte Tre Ponti è una struttura in legno a tre bracci ed è uno dei luoghi con il panorama più “instagrammabile” di Burano, perché sorge all’incrocio tra le strade più colorate e caratteristiche dell’isola.

Una storia di sirene e merletti

La leggenda narra che l’arte del merletto di Burano sia nata per copiare un velo nuziale fatto con la schiuma delle onde dalla regina delle sirene. La creatura marina ne avrebbe fatto dono a un pescatore dell’isola che aveva resistito al suo canto per amore della promessa sposa e le giovani di Burano si sarebbero ingegnate con ago e filo per imitare lo splendido pizzo.

Nella realtà non è possibile stabilire come e quando sia iniziata la tradizione dei merletti di Burano, ma alla fine del 1400 esisteva già un fiorente commercio. Le trine della piccola isola sono diventate famose in tutta Europa, al punto che Luigi XIV (il Re Sole) ha indossato un collare delle merlettaie di Burano il giorno della sua incoronazione. 

La fine della Repubblica di Venezia nel 1797 ha causato una crisi che ha rischiato di fare scomparire l’antica arte buranella, ma l’attività ha ripreso vita grazie alla fondazione della Scuola del merletto nel 1872. In seguito alla chiusura dell’istituto, la tradizione dei pizzi di Burano è stata portata avanti da singole merlettaie e continua ancora oggi nelle botteghe che si trovano sull’isola.

I merletti buranelli originali sono caratterizzati da una lavorazione molto lunga e complicata e possono valere migliaia di euro. Una preziosa collezione di pezzi unici è conservata al Museo del merletto di Burano, dove si trovano anche importanti esempi della produzione veneziana.

Un po’ di Pisa a Burano

La Torre di Pisa ha un “rivale”. Il campanile della Chiesa di San Martino a Burano è inclinato di 1,83 m sull’asse e pende (quasi) come il celebre monumento toscano. Il “campanìl storto” è diventato un simbolo dell’isola e i posti migliori per osservare il suo profilo disassato sono il ponte di Terranova e la riva del sestiere Giudecca.

La torre campanaria della Chiesa di San Martino pende a causa di un cedimento del terreno, che è iniziato durante i lavori di costruzione ed è aumentato con il passare del tempo. La situazione è diventata critica nel secondo dopoguerra e ha richiesto un importante intervento di consolidamento.

La costruzione del “campanìl storto” viene collocata all’inizio del XVIII secolo e attribuita all’architetto veneziano Andrea Tirali. Ma alcune fonti ritengono che l’edificio risalga al XVII secolo e che Tirali non lo abbia progettato da zero, bensì abbia effettuato un profondo lavoro di manutenzione. 

Di sicuro, il campanile è alto 53 m e presenta sulla sommità una croce di ferro, che ha preso il posto dell’originale angelo in bronzo distrutto da un uragano nel 1867. Il suo profilo storto svetta sul complesso formato dalla Chiesa di San Martino e della Cappella di Santa Barbara, al cui interno è conservata una Crocifissione dipinta da Giambattista Tiepolo in epoca giovanile.

Un’isola di dolcezza

Burano è famosa per i merletti, ma non scherza neppure in fatto di dolci. La specialità dell’isola sono dei biscotti fragranti chiamati bussolai o buranelli (in dialetto, “bussolà” e “buranei”). 

I bussolai hanno una tradizione antichissima e la leggenda vuole che a inventarli siano state le mogli dei pescatori. Le donne dell’isola ne preparavano grandi quantità per essere sicure che i mariti avessero con sé un cibo nutriente e che si conservasse bene nei lunghi giorni che trascorrevano in mare. In origine i buranelli erano preparati con acqua, farina, lievito e sale. Ma con il passare del tempo la ricetta si è arricchita di uova, burro, zucchero e aroma di vaniglia.

I biscotti di Burano si sono diffusi in tutta la laguna e sono diventati un dolce tipico di Pasqua. La loro forma classica è quella di una ciambella, ma esiste anche un tipo a “S". La variante è stata inventata per rendere i bussolai più facili da inzuppare (nel latte e nel vin santo) ed è conosciuta con il nome di “esse di Burano”.

Un eremo in laguna

Quando San Francesco è tornato dalla Terra Santa nel 1220, ha fatto tappa nella Laguna di Venezia. E la leggenda narra che abbia deciso di fermarsi in una piccola isola perché richiamato dal canto di una moltitudine di uccelli. 

Quella che oggi è conosciuta da tutti come l’”Isola di San Francesco del deserto” si trova proprio di fronte a Burano – da cui è separata da uno stretto braccio di mare – ed è uno dei luoghi del cuore e dell’anima del “poverello di Assisi”.

Pochi anni dopo la morte di Francesco, l’isola è stata donata ai frati minori dal suo proprietario, il patrizio veneziano Jacopo Michiel, e i francescani hanno costruito un convento in memoria del loro fondatore.

L’isola è stata abbandonata nel XIV secolo a causa della malaria e nel XIX secolo è stata occupata dalle truppe napoleoniche e da quelle austriache. Poi il Patriarcato di Venezia l’ha riconsegnata ai frati e questi ultimi sono tornati a vivere nel monastero.

L’eremo lagunare non è raggiunto dai mezzi dell’ACTV (Azienda del Consorzio Trasporti Veneziano) ed è una inaspettata oasi di pace a pochi minuti dal turismo caotico di Venezia. Ma il complesso religioso non è isolato dal mondo. L’Isola di San Francesco del deserto è collegata a Burano da un servizio navetta giornaliero (che va preferibilmente prenotato) e può essere raggiunta con imbarcazioni private.

La piccola chiesa, le tre cappelle, i chiostri, l’oratorio, il convento e i giardini che compongono il complesso monastico possono essere visitati con l’accompagnamento dei frati. Inoltre è prevista la possibilità di brevi soggiorni per chi desidera vivere un’esperienza di preghiera e meditazione.

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