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Cosa vedere a Glorenza, la più piccola città dell’Alto Adige

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Qualcuno dice che sia il più piccolo comune d’Italia a fregiarsi del titolo di città. Altri sostengono (addirittura) d’Europa. Di sicuro lo è dell’Alto Adige. Glorenza conta meno di mille abitanti ed è stata elevata a “stadt” da Mainardo II dei conti di Tirolo nel 1304 (ma c’è chi sposta la data al 1291).

Il dibattito è aperto anche sulla sua fondazione. Alcuni la fanno risalire ai Romani, tuttavia è più probabile che sia da attribuire ai Reti o agli Illiri. Il console e generale Druso avrebbe poi conquistato l’insediamento nel 15 a.C. Glorenza è diventata un fiorente centro economico per la posizione strategica lungo la via Claudia Augusta e la vicinanza alla Svizzera e nel XIV secolo ha assunto il monopolio del commercio del sale proveniente dalle miniere di Hall in Tirolo.

La città ha vissuto un lungo periodo di ricchezza e benessere, fino a che è rimasta coinvolta nella guerra sveva ed è stata rasa al suolo nella battaglia della Calva del 1499.

Le mura e le porte di ingresso

Le cronache dell’epoca raccontano che l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo abbia pianto sopra le rovine fumanti della città e promesso che l’avrebbe ricostruita. E in effetti così è stato. Ma non solo. Il sovrano austriaco ha dotato il piccolo centro di una poderosa cinta di mura per impedire nuove devastazioni.

La fortificazione di Glorenza è stata progettata dall’architetto militare Jörg Kölderer e i lavori di costruzione si sono protratti fino al 1580. Il risultato è il complesso difensivo con sette torri di avvistamento, tre porte di accesso, il cammino di ronda e 350 feritoie che è arrivato praticamente intatto fino a oggi.

Gli ingressi alla città sono Porta Malles, Porta Tubre o della Chiesa e Porta Sluderno. I tre accessi prendono il nome dagli abitati nelle vicinanze verso i quali sono rivolti e presentano un’architettura uniforme. Tutti quanti sono sovrastati da una torre dove si aprono piccole finestre e feritoie, che fanno da cornice a un affresco più o meno conservato a seconda degli edifici.

All’interno di Porta Tubre o della Chiesa è allestita un’esposizione permanente dedicata al disegnatore e caricaturista di Glorenza Paul Flora, mentre Porta Sluderno ospita la mostra “Tappe di una piccola città”. Porta Sluderno è anche uno degli accessi al cammino di ronda.

Il centro storico

L’impianto urbano originario di Glorenza è stato profondamente modificato dalla devastazione della battaglia della Calva, ma non del tutto cancellato. Alcuni edifici sono scampati alla distruzione e concorrono a dare forma al suggestivo centro storico medievale della piccola città.  

Una delle costruzioni più antiche è Torre Flurin. L’edificio risale all’inizio del Duecento e deve il suo nome a un giudice vissuto a Glorenza nel secolo successivo, Flurin von Turm. L’edificio è stato a lungo sede del tribunale della città (competente per tutta la Val Venosta fino al 1919) e per un certo periodo è stato utilizzato anche come prigione.

Torre Kolben è citata nei registri feudali già nel 1330, mentre Casa Frölich ha assunto l’aspetto attuale nel 1570. Il palazzo signorile presenta interni affrescati, una meridiana con gli stemmi del proprietario e delle due mogli e un elegante “erker” angolare, una sorta di bow window tipico dell’architettura dei paesi di lingua tedesca. Un altro pregevole erker è quello della Hössische Behausung, che presenta una mescolanza di stile tardogotico e barocco.

Nel piccolo centro abitato sorge anche un mulino e si allunga la bella “Via dei Portici”. Il nome rivela la caratteristica di questa strada, la cui costruzione viene fatta risalire all’istituzione del mercato da parte di Mainardo II nel XIII secolo. I porticati bassi e irregolari che scandiscono i due lati della via ospitavano le case-botteghe degli artigiani e servivano a riparare la merce dal sole e dalla pioggia.

La Frauenkirche e la Chiesa di San Pancrazio

Glorenza è piccola, ma non si fa mancare nulla. La “stadt” della Val Venosta possiede ben due chiese.

Nel centro storico sorge la “Frauenkirche”, intitolata alla Madonna e costruita tra il 1665 e il 1669 per sostituire quella dello Spirito Santo, andata distrutta in un incendio. La Chiesa di Nostra Signora è anche detta “dell’Ospedale”, perché in origine era collegata al nosocomio della città. Il piccolo edificio di culto ha un esterno semplice, con facciata a capanna, mentre all’interno custodisce numerosi affreschi e statue lignee.

La Chiesa di San Pancrazio, invece, si trova appena fuori dalle mura, vicino a Porta Tubre. La presenza del luogo di culto è attestata fin dall’inizio del XIII secolo, ma l’edificio originario è stato profondamente rimaneggiato e l’unica parte rimasta più o meno com’era è il campanile. Quest’ultimo è sormontato da una cupola a bulbo barocca e sulla parete nord presenta un pregevole affresco del 1496 che raffigura il “Giudizio Universale”.

La posizione della Chiesa di San Pancrazio ha fatto nascere un detto tra gli abitanti di Glorenza, che tra il divertito e l’orgoglioso affermano: “La nostra città è così piccola che dobbiamo andare a messa fuori dalle mura”.

Il mercato delle anime

Il mercato è una tradizione antichissima di Glorenza. Mainardo II dei conti di Tirolo ha istituito quello di San Bartolomeo nel 1291 e la fiera si tiene ancora oggi ogni 24 agosto. L’obiettivo del nobile era affermare il proprio potere e l’importanza della stadt nei confronti della “rivale” Müstair, dove l’8 settembre aveva luogo la grande Festa della Natività di Maria.

Nella piccola città si tengono altri mercati (tra cui quello per la sagra della pera pala e per l’Avvento), ma il più particolare è probabilmente il “Sealamorkt”. Il “Mercato dei morti” o “Mercato delle anime” cade ogni anno il 2 novembre e porta avanti la tradizione della grande fiera che veniva organizzata in autunno per fare scorta per l’inverno.

Al Sealamorkt si trovava di tutto, compreso il bestiame. Oggi gli animali non ci sono quasi più (a parte un po’ di pecore e capre), ma la fiera rimane una delle più grandi dell’arco alpino. In vendita ci sono soprattutto prodotti dell’artigianato e della tradizione gastronomica e agroalimentare locale e i visitatori arrivano non solo dall’Italia, ma anche dalla Svizzera e dall’Austria.

La prima distilleria di whisky italiana

Glorenza non è solo la più piccola città dell’Alto Adige, ma è anche la sede della prima e unica distilleria di whisky in Italia. La Puni Distillery sorge appena fuori le mura e prende il nome dal torrente che nasce dalla Cima dei Corvi e scorre in Alta Val Venosta.

La distilleria è nata dalla passione di Albrecht Ebensperger e della sua famiglia per il whisky. La costruzione dello straordinario edificio a forma di cubo che ospita l’azienda è iniziata nel 2010, mentre la produzione è stata avviata nel 2012. Dopo tre anni di invecchiamento, le prime bottiglie sono state lanciate sul mercato a ottobre 2015.

L’“italian malt whisky” della Puni è prodotto con orzo della Val Venosta – “il granaio del Tirolo” – e acqua del Parco nazionale dello Stelvio ed è realizzato secondo il metodo “Pot Still” (a doppia distillazione). L’azienda utilizza due alambicchi di rame prodotti dall’azienda scozzese Forsyths, riscaldati ad acqua anziché a vapore per una distillazione “molto precisa e raffinata”.

L’azienda ha sperimentato l’impiego anche di orzo proveniente dalla Baviera, dalla Gran Bretagna e dalla Sicilia. Per l’invecchiamento, invece, utilizzata botti di bourbon americano, di sherry spagnolo, di marsala siciliano ed ex peated (dove è maturato whisky torbato).  

La distilleria Puni è aperta al pubblico e offre la possibilità di partecipare a diversi tipi di visite guidate ed esperienze di “tasting”. I tour e le degustazioni hanno caratteristiche e costi diversi e devono essere prenotati.

Il paese sommerso

Non molto distante da Glorenza c’è un grande lago dal quale spunta un campanile. Il lago è quello di Resia, mentre il campanile è tutto ciò che resta del vecchio paese di Curon. Il borgo a una manciata di chilometri dal confine con l’Austria e la Svizzera è stato fatto saltare in aria e sommerso per realizzare un grande bacino artificiale per la produzione di energia elettrica.

La distruzione di Curon è avvenuta a metà del Novecento, ma il progetto per lo sfruttamento delle risorse idriche della zona ha iniziato a prendere forma in epoca fascista. Gli abitanti sono stati “informati” del piano del governo con un manifesto esposto in paese per sei giorni nel 1939. L’avviso era scritto in italiano, ma nel piccolo borgo non lo parlava quasi nessuno e il manifesto è stato ignorato.

Quando la popolazione ha capito che il progetto prevedeva di unire il Lago di Curon e il Lago di Resia con una diga che avrebbe portato il livello dell’acqua a 22 metri e avrebbe sommerso completamente il paese, ormai era tardi. Nel 1940 sono iniziati gli espropri, a fronte di indennizzi irrisori.

La guerra ha fermato i lavori per tre anni, ma nel 1946 sono ripartiti in maniera serrata. Gli abitanti di Curon hanno tentato a più riprese di bloccare il progetto (rivolgendosi anche al papa), fino a che nel 1950 è iniziata la demolizione del paese. L’unico edificio a essere risparmiato è stato il campanile romanico della chiesa locale (sotto la tutela delle Belle Arti), che ha miracolosamente resistito anche all’urto dell’acqua che ha riempito il nuovo invaso.

Per gli abitanti di Curon è iniziata una vera e propria diaspora. Qualcuno è rimasto nel paese (ri)costruito a monte qualche anno più tardi, ma molti se ne sono andati. A impedire che la storia e la memoria di un’intera comunità sbiadiscano e scompaiano per sempre rimane il profilo severo della torre campanaria. E una leggenda racconta che in certi giorni di inverno si possa ancora sentire il suono delle campane rimosse nel 1950…

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