Non molto distante da Glorenza c’è un grande lago dal quale spunta un campanile. Il lago è quello di Resia, mentre il campanile è tutto ciò che resta del vecchio paese di Curon. Il borgo a una manciata di chilometri dal confine con l’Austria e la Svizzera è stato fatto saltare in aria e sommerso per realizzare un grande bacino artificiale per la produzione di energia elettrica.
La distruzione di Curon è avvenuta a metà del Novecento, ma il progetto per lo sfruttamento delle risorse idriche della zona ha iniziato a prendere forma in epoca fascista. Gli abitanti sono stati “informati” del piano del governo con un manifesto esposto in paese per sei giorni nel 1939. L’avviso era scritto in italiano, ma nel piccolo borgo non lo parlava quasi nessuno e il manifesto è stato ignorato.
Quando la popolazione ha capito che il progetto prevedeva di unire il Lago di Curon e il Lago di Resia con una diga che avrebbe portato il livello dell’acqua a 22 metri e avrebbe sommerso completamente il paese, ormai era tardi. Nel 1940 sono iniziati gli espropri, a fronte di indennizzi irrisori.
La guerra ha fermato i lavori per tre anni, ma nel 1946 sono ripartiti in maniera serrata. Gli abitanti di Curon hanno tentato a più riprese di bloccare il progetto (rivolgendosi anche al papa), fino a che nel 1950 è iniziata la demolizione del paese. L’unico edificio a essere risparmiato è stato il campanile romanico della chiesa locale (sotto la tutela delle Belle Arti), che ha miracolosamente resistito anche all’urto dell’acqua che ha riempito il nuovo invaso.
Per gli abitanti di Curon è iniziata una vera e propria diaspora. Qualcuno è rimasto nel paese (ri)costruito a monte qualche anno più tardi, ma molti se ne sono andati. A impedire che la storia e la memoria di un’intera comunità sbiadiscano e scompaiano per sempre rimane il profilo severo della torre campanaria. E una leggenda racconta che in certi giorni di inverno si possa ancora sentire il suono delle campane rimosse nel 1950…