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Franciacorta in Lombardia: alla scoperta della terra del vino

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La Franciacorta è per tutti la terra del vino. L’anfiteatro di morbide colline compreso tra la sponda meridionale del Lago d’Iseo o Lago Sebino e Brescia è la casa dell’omonimo, celebre spumante metodo classico DOCG. Ma oltre i vigneti e le cantine ci sono una lunga storia e una grande ricchezza artistica, naturale e paesaggistica.

Il primo riferimento a un territorio chiamato “Franzacurta” risale al 1277, però l’origine del toponimo sarebbe più antica. Un documento del XV secolo collega il nome a un lungo soggiorno sul territorio da parte dei Franchi di Carlo Magno. Ma secondo la versione più accreditata, Franciacorta deriverebbe dalle “corti franche” (ovvero, esentate dal pagamento delle tasse) istituite nella zona dopo l’insediamento dei monaci cluniacensi.

La questione rimane controversa, mentre è certo che la coltivazione della vite è stata praticata fin dalla preistoria. La vocazione vitivinicola della zona si è sviluppata nel corso dei secoli (in epoca classica è stata testimoniata da Plinio, Columella e Virgilio), fino al grande rilancio degli anni ’60.

Di pari passo, la Franciacorta è stata teatro di un profondo fermento religioso, sociale e culturale. Nella zona sono nate importanti realtà monastiche e tra le colline sono sorti castelli, ville e palazzi nobiliari. L’area è stata oggetto di grandi opere di bonifica e ha visto lo sviluppo di un’economia tipicamente agricola, con influssi artigianali e commerciali.

Ma nonostante le molte trasformazioni e la presenza immanente dell’uomo, la Franciacorta ha saputo conservare la sua essenza più profonda. Le torbiere del Sebino sono un ambiente peculiare e selvaggio, dove tra distese di acqua, fitti canneti e vegetazione lussureggiante vive un gran numero di specie animali (molte rare). 

Qui trovate 6 tra luoghi, musei e monumenti della Franciacorta che vanno oltre la realtà più nota della terra del vino e raccontano una regione complessa, ricca di tradizioni e di grande fascino.

Monte Isola

Il nome lo rivela. Monte Isola è una montagna verde nel mezzo del Lago di Iseo. Ma non solo. È anche la più grande isola lacustre d’Italia, oltre che un luogo senza auto (a parte alcuni mezzi di servizio). Gli abitanti si muovono in motorino e bicicletta e anche i turisti sono invitati a utilizzare le due ruote, i piedi o il servizio bus locale.

L’isola è una comunità viva con 12 borghi e custodisce piccoli e grandi tesori come il Santuario della Madonna della Ceriola (dal nome del legno utilizzato per realizzare l’effigie, il cerro). La chiesa è stata costruita sulle rovine di un tempio pagano e sorge sul punto più alto di Monte Isola.

Su un’altra altura si erge la Rocca Martinengo (di proprietà privata e chiusa al pubblico), mentre lungo la costa si susseguono i caratteristici borghi di pescatori di Peschiera Maraglio, Sensole, Siviano e Carzano. Invece, le frazioni di Massa e Cure si arrampicano sui rilievi all’interno.

A Siviano si trova il Museo della rete, che ricorda la lunga tradizione di produzione di reti da pesca dell’isola (uno dei principali centri al mondo negli anni ’70). Mentre Carzano è famoso per la Festa di Santa Croce, durante la quale il paese viene addobbato con migliaia di fiori di carta.

Monte Isola fa parte dei “Borghi più belli d’Italia” e nel 2016 è salita alla ribalta mondiale per l’installazione artistica “The Floating Piers”. L’opera è stata realizzata dal celebre artista Christo e dalla moglie Jeanne Claude e consisteva in una passerella galleggiante che collegava Monte Isola alla terraferma e a un’altra piccola isola privata (San Paolo).


Riserva naturale torbiere del Sebino

Le Torbiere del Sebino con i loro giacimenti di combustile fossile hanno rappresentato a lungo una preziosa risorsa per l’economia della zona. L’attività di estrazione è terminata nel 1950 (soppiantata per breve tempo da una di scavo dell’argilla) e vent’anni dopo l’area è stata sottoposta ai primi vincoli ambientali.

Oggi la zona di circa 4 km2 che si estende sulla sponda meridionale del Lago d’Iseo è una riserva naturale e presenta un ambiente e un paesaggio peculiari. La parte interna prende il nome di “Lame” ed è composta da una distesa di vasche e canali dove crescono canneti e una fitta vegetazione. Invece, quella a contatto con il lago viene chiamata “Lamette” ed è un acquitrino. 

L’area delle torbiere comprende anche prati, campi e vecchie vasche di scavo dell’argilla e la grande varietà di sistemi naturali è l’habitat di un molte specie animali e vegetali. Le riserva del Sebino è un vero e proprio “paradiso” per gli appassionati di birdwatching e tra canneti e specchi d’acqua è possibile avvistare specie rare come l’airone rosso e il falco delle paludi.

Le torbiere del Sebino sono attraversate da tre percorsi che seguono le direttrici nord, centro e sud e possono essere visitate in autonomia o con una guida. I punti di accesso sono a Iseo, Provaglio e Corte Franca e il biglietto di ingresso ha il costo simbolico di 1 euro.

Monastero di San Pietro in Lamosa

L’origine è remota e il profondo legame con il territorio è presente anche nel nome. Il monastero di San Pietro in Lamosa si chiama così per le “lame” o paludi delle vicine torbiere del Sebino e si è sviluppato da una chiesetta costruita all’inizio dell’Anno Mille da una famiglia feudale longobarda.

La piccola cappella a Provaglio d’Iseo è stata donata nel 1083 alla congregazione cluniacense e durante l’amministrazione dei monaci di Cluny è diventata una comunità con un importante ruolo religioso, culturale, sociale ed economico.

Nel 1535 il monastero è passato alla congregazione dei Canonici regolari di San Salvatore e si è trasformato in una chiesa parrocchiale. Il complesso religioso è stato ceduto al parroco reggente nel 1783, poi è stato acquisito da una famiglia del luogo. Oggi è tornato in parte di proprietà della parrocchia di Provaglio, in seguito a una donazione fatta dai proprietari nel 1983.

L’antica chiesa romanica con pregevoli decorazioni pittoriche e affreschi databili tra il XII e il XVI secolo, la cappella e il chiostro sono aperti al pubblico e possono essere visitati insieme alla “Disciplina”. Quest’ultima è una sala costruita nel XV secolo per accogliere una piccola comunità di “Disciplini”, laici che si erano dedicati a una vita di preghiera e penitenza e praticavano l’autoflagellazione.

Borgo del Maglio di Ome

L’antica tradizione artigiana della lavorazione del ferro in Franciacorta e la passione per l’arte si incontrano al Borgo del Maglio di Ome. La piccola contrada rurale ospita due spazi che raccontano l’una e l’altra.

Il Museo del Maglio Averoldi è una fucina con una ruota idraulica funzionante che testimonia l’arte dei “bruzafër”, i maestri forgiatori o “maér” che trasformavano il ferro in attrezzi, elementi di arredo e sculture. La fucina risale all’inizio del 1400 ed è diventata di proprietà degli Averoldi alla fine del 1800. La famiglia ha prodotto attrezzi agricoli fino al 1984 e gli ultimi “bruzafër” sono stati Andrea Averoldi e la moglie Aldina Barbi.

La Casa Museo Pietro Malossi è la “Camera delle meraviglie” allestita dall’omonimo artista del ferro diventato antiquario. Malossi ha lavorato come incisore fino al 1932, facendosi apprezzare da personalità del calibro di Marie Curie e Gabriele D'Annunzio. Poi si è dedicato all’attività di collezionista e mercante e fino alla morte ha raccolto l’incredibile varietà di preziosi oggetti che è possibile ammirare oggi.

Il Borgo del Maglio è aperto solo in alcuni giorni e periodi dell’anno e per visitarlo è necessario prenotare. Per tutte le informazioni è consigliabile fare riferimento al sito ufficiale.

Abbazia olivetana di San Nicola

L’abbazia olivetana di San Nicola è stata fondata nel 1090 dalla congregazione cluniacense, ma la sua maggiore rilevanza spirituale e artistica e il suo nome sono legati ai monaci olivetani. La congregazione monastica dell’Ordine di San Benedetto ha amministrato l’abbazia dal 1446 al 1797 e l’ha completamente riedificata, oltre a procedere a importanti interventi di bonifica nell’area circostante.

Il “fervore costruttivo” degli olivetani ha portato a lavorare nell’abbazia di Rodengo Saiano importanti pittori come il Romanino, il Moretto e Grazio Cossali, ai quali si devono rispettivamente gli affreschi del refettorio della foresteria, la Pala dei Santi Pietro e Paolo e il grande quadro delle Nozze di Cana (entrambi conservati nei locali della chiesa). 

Durante la reggenza dei monaci olivetani sono anche stati realizzati i tre chiostri che costituiscono il cuore del complesso monastico. Il “chiostro piccolo” è il più antico ed era probabilmente l’originario ingresso dell’abbazia. Il “chiostro grande” è una imponente costruzione di gusto rinascimentale e al centro presenta una pergola in ferro battuto. Il “chiostro della cisterna” è il più recente ed è caratterizzato dalla presenza di tre meridiane.

Il monastero è stato soppresso da Napoleone e nei secoli successivi ha vissuto una serie di peripezie che l’hanno portato a versare in uno stato di grave degrado. Fino a che nel 1969 è stato affidato di nuovo ai monaci olivetani, che sono tornati a viverci e l’hanno riportato all’antico splendore.

Castello di Passirano

La fortezza a pianta quadrata, con due alte torri e una imponente merlatura ghibellina “a coda di rondine” che sorge tra una distesa di vigneti è uno dei simboli della Franciacorta. Eppure, la storia del castello di Passirano è piena di incertezze.  

La prima riguarda l’epoca di costruzione. Alcune fonti ritengono che la fortezza sia stata edificata tra il X e l’XI secolo, ma altre spostano la data in avanti fino al XIV secolo. Poco chiara è anche la funzione stessa della rocca. Secondo la versione più accreditata, il castello sarebbe stato un “ricetto”, ovvero una struttura fortificata realizzata per accogliere e proteggere la popolazione locale in caso di invasioni e guerre.

A sostegno di questa tesi ci sarebbero la sua posizione “defilata” rispetto a quelle che all’epoca erano le strade principali (cosa che non lo rendeva una postazione strategica) e il fatto che abbia attraversato i secoli praticamente intatto. 

Quello che è certo è che la fortezza era circondata da un profondo fossato (oggi scomparso) e che la torre più bassa – la “Torre della Specola” – nel XVII ha ospitato un osservatorio astronomico.

Il castello di Passirano è sede di un’azienda vinicola e non è aperto al pubblico, ma può essere ammirato dall’esterno ed è senza dubbio uno dei soggetti più “instagrammabili” della Franciacorta.

Castello di Brescia

Gabriele D’Annunzio lo ha soprannominato “il falco di Italia” e non è difficile capire perché. Il castello di Brescia domina la città dal Colle Cidneo e per la sua posizione è stato a lungo un’importante postazione strategica. Ma non è sorto come presidio militare.

La rocca ha iniziato a prendere forma sotto i Visconti in quella che era un’area sacra (dove si trovava anche una basilica) ed è stata ulteriormente ampliata e fortificata durante la dominazione della Repubblica di Venezia.

Il Castello di Brescia è stato testimone del sacco della città nel 1512 e della rivolta contro gli austriaci passata alla storia come le Dieci giornate di Brescia (1849). Ha fatto da teatro alle torture e alle fucilazioni dei partigiani per mano dei nazifascisti, poi è diventato un tribunale per i crimini di guerra.

Oggi la fortezza ospita il Museo delle armi Luigi Marzoli e il Museo del Risorgimento, un osservatorio astronomico (il primo pubblico d’Italia, la Specola Cidnea) e la locomotiva che un tempo percorreva la tratta Brescia – Edolo. Inoltre, sulle pendici della rocca cresce il più antico vigneto urbano d’Europa (il Vigneto Pusterla).

Il castello e i musei possono essere visitati con diverse modalità (per il dettaglio è consigliabile consultare il sito ufficiale). In particolare, l’Associazione Speleologica Bresciana organizza tour che permettono di scoprire ambienti della rocca solitamente non accessibili al pubblico e molto suggestivi.

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