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In bilico su uno sperone di tufo: 6 borghi da scoprire

Il paesaggio tra il centro e il sud Italia è punteggiato da borghi che sembrano in bilico su rilievi più o meno alti, ma tutti caratterizzati da scoscese pareti verticali. Queste peculiari formazioni di roccia sono fatte di tufo – una pietra di origine vulcanica, particolarmente friabile – e il loro aspetto incombente è causato dell’erosione.

Civita di Bagnoregio è l’emblema dei paesi in “equilibrio precario” su uno sperone di tufo. Non solo perché sorge alla sommità di un piedistallo di roccia che sembra a malapena contenerla, ma soprattutto perché il rilievo che la sostiene si sta lentamente sgretolando. Il borgo in provincia di Viterbo è destinato a scomparire e per questo si è guadagnato il malinconico appellativo di “città che muore”.

Il poco distante Celleno, invece, viene chiamato il “paese fantasma” perché nel 1951 è stato sgomberato in maniera coatta a causa del dissesto sempre più grave della rupe sulla quale sorge. Il borgo, però, non si è arreso al suo destino e come Civita di Bagnoregio – dove vivono ancora alcune persone – è diventato una suggestiva meta turistica.

Qualcosa di analogo è accaduto a un altro paese nel Lazio, Calcata. Dopo essere stato abbandonato negli anni ’30 del Novecento, il piccolo centro ha ricominciato a popolarsi nel dopoguerra e oggi è conosciuto come “il borgo degli artisti”.

Tra i paesi in bilico su uno sperone di tufo ci sono pure Orvieto e Pitigliano in Toscana e Sant’Agata de’ Goti in Campania e anche loro hanno una storia unica da raccontare. Se siete curiosi e volete saperne di più, leggete qui!

1. Orvieto (Toscana)

Orvieto è detta “la città della rupe” e basta uno sguardo per capire perché. L’abitato è abbarbicato su uno sperone di tufo che si innalza dai venti ai cinquanta metri sul piano della campagna e domina la valle del fiume Paglia. L’imponente mesa di roccia magmatica ha preso forma in epoca quaternaria dall’attività dei vulcani del sistema Volsinio ed è parte costitutiva della storia e della struttura di Orvieto.

Sotto la città corre una fitta rete di cunicoli, gallerie, cave, cisterne e pozzi scavati in epoca etrusca – quando Orvieto si chiamava Velzna – e ampliati e rimaneggiati in età medievale, rinascimentale e moderna. La città sotterranea è in parte percorribile con apposite visite guidate e comprende anche il Pozzo della Cava e il Labirinto di Adriano.

Nel cuore di Orvieto si addentra pure un’altra peculiare struttura ipogea, il Pozzo di San Patrizio. Fatto scavare da Papa Clemente VII (che si era rifugiato in città nel 1527 per sfuggire al Sacco di Roma), è profondo 62 metri e presenta due scale a chiocciola che non si incontrano mai. Una soluzione pensata dal progettista – Antonio da Sangallo il Giovane – per fare sì che chi risaliva con l’acqua non fosse intralciato da chi scendeva (e viceversa).

La rupe ai piedi di Orvieto custodisce anche un’importante necropoli etrusca – il sito di Crocifisso del Tufo – e “sorregge” il celebre duomo della città, considerato un capolavoro dell’architettura gotica in Italia. Tutto intorno si sviluppa il centro storico di stampo medievale, dove si trovano numerosi palazzi e chiese di notevole valore storico, artistico e culturale.

2. Pitigliano (Toscana)

Pitigliano sembra una prosecuzione naturale dello sperone di tufo su cui sorge. La leggenda narra che a fondarlo siano stati due giovani romani chiamati Petilio e Celiano, da cui avrebbe preso forma il toponimo Petiliano, poi diventato Pitigliano. Ma l’origine del piccolo borgo – tra i più belli d’Italia – è ancora più antica. Il territorio era già abitato nel Neolitico, anche se il primo insediamento stabile risale all’epoca etrusca.

Il misterioso popolo italico ha lasciato traccia di sé nelle numerose necropoli e nei resti di vari insediamenti più o meno estesi, oltre che nelle famose “Vie Cave”. Queste ultime sono una serie di strade che si sviluppano “in trincea” – tra pareti di tufo alte fino a venti metri – e servivano da sistema di comunicazione e difesa.

Pitigliano ha conosciuto un lungo periodo di prosperità e benessere sotto gli Orsini, che hanno governato l’omonima contea (anche detta di Pitigliano) dalla fine del XIII all’inizio del XVII secolo. Il centro del potere della nobile famiglia romana era l’antica residenza degli Aldobrandeschi, in seguito ribattezzata Palazzo Orsini e oggi sede del Museo diocesano e del Museo archeologico.

L’imponente edificio è uno dei monumenti più significativi del borgo, insieme all’acquedotto iniziato dagli Orsini e completato dai Medici, quando la Contea di Pitigliano è stata inglobata nel Granducato di Toscana. Un altro tratto caratteristico del piccolo centro è la presenza di una comunità ebraica, che ha trovato accoglienza nel borgo nel XV secolo, dopo le limitazioni imposte dalla bolla papale Cum nimis absurdum.

Il quartiere ebraico custodisce la sinagoga (ancora in attività) e locali tipici quali la macelleria kasher, la cantina, il bagno rituale e il forno delle azzime ed è valso a Pitigliano l’appellativo di “piccola Gerusalemme”.

3. Civita di Bagnoregio (Lazio)

“La città che muore”: è così che viene chiamata Civita di Bagnoregio. La definizione è stata coniata dallo scrittore Bonaventura Tecchi, che nel borgo – tra i più belli d’Italia – ha trascorso la giovinezza. Ma per quale ragione l’antico abitato ha meritato il malinconico appellativo? La risposta è nella natura del luogo dove sorge.

Civita di Bagnoregio si è sviluppato su uno sperone di roccia che si sta sgretolando per l’azione dei torrenti che scorrono alla base, oltre che per il vento, la pioggia e il disboscamento. Il processo è lento ma inesorabile e – prima o poi – le case crolleranno e il borgo sparirà.

La minuscola cittadina nel cuore della Tuscia laziale è stata fondata probabilmente dagli Etruschi (dei quali restano diverse testimonianze), poi è diventata un centro di influenza romana. Ma l’aspetto è quello di un borgo medievale, con la Porta Santa Maria che si apre sul lungo viadotto che garantisce l’accesso all’abitato.

Al centro del paese sorge la Chiesa di San Donato, la cui fondazione viene fatta risalire al V secolo. Dell’impianto originale, però, resta poco: l’edificio è stato rimaneggiato nel Cinquecento e nel Seicento ha subito gravi danni in un terremoto. Lo stesso sisma e uno successivo hanno compromesso anche la casa di San Bonaventura, che è nato a Civita. È invece in buone condizioni la grotta – in origine una tomba etrusca – dove la leggenda narra che Bonaventura bambino sia stato guarito da San Francesco d’Assisi.

4. Celleno (Lazio)

Era la Vigilia di Natale del 1951 quando il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi ha firmato il decreto che stabiliva il trasferimento coatto degli abitanti di Celleno in una nuova borgata poco distante. La drammatica decisione è stata resa necessaria dal dissesto sempre più grave della rupe di tufo su cui sorgeva e tuttora sorge il paese e ha sancito la nascita di “Celleno Nuovo”.

Le persone hanno iniziato a trasferirsi nel centro in fase di costruzione dagli anni ’30 e di pari passo il vecchio borgo si è spopolato, fino a diventare un “paese fantasma”. Poco alla volta, la natura ha (ri)preso possesso di strade e piazze e gli edifici sono andati incontro a un inarrestabile processo di disfacimento, mentre i crolli del basamento di roccia continuavano.

L’antico paese di Celleno sembrava destinato a scomparire, ma un artista e gli abitanti l’hanno impedito. Nel 1973, il pittore Enrico Castellani ha acquistato e restaurato il Castello Orsini – simbolo del borgo – e l’ha eletto a propria dimora fino alla morte, avvenuta nel 2017. Nel mentre, la popolazione si è attivata per recuperare e salvaguardare quanto più possibile dell’antico abitato e il FAI ha inserito Celleno tra “I Luoghi del Cuore”.

Oggi il “paese fantasma” può essere visitato liberamente o con l’accompagnamento di una guida. Tra gli edifici più significativi ci sono il Castello Orsini (naturalmente), la Chiesa di San Donato, la Chiesa di San Carlo, la Chiesa di San Rocco e il Convento di San Giovanni. La maggior parte si affaccia sulla Piazza del Comune, alla quale si accede dalla scenografica Via del Ponte.

A Celleno si trovano anche un “butto” – una sorta di pattumiera utilizzata in epoca medievale, che ha restituito preziosi reperti – e un magazzino etrusco. Inoltre è custodita una suggestiva collezione di radio, grammofoni, giradischi, juke-box e “macchine parlanti”, raccolta nel corso di una vita dal “collezionista compulsivo” Mario Valentini.

5. Calcata (Lazio)

Calcata ha origini remote. La zona dove sorge il piccolo borgo era abitata già nella preistoria, ma il primo insediamento stabile risale ai Falisci. L’antico popolo italico – “contiguo” per lingua e costumi ai Latini, ma nemico di Roma e alleato degli Etruschi – ha lasciato traccia di sé nelle rovine della città di Narce, nei resti di un tempio, in una necropoli e in un monolite.

Dell’abitato di Calcata, però, si ha notizia solo dall’VIII secolo d.C. Il paese abbarbicato su uno sperone di tufo nella Valle del Treja è diventato un borgo fortificato in epoca medievale, ma di quello che è accaduto dopo si sa poco. Per certo, negli anni ’30 del Novecento, Calcata è stato colpito da un inarrestabile spopolamento, a causa dei continui crolli del basamento di roccia sul quale sorge.

Il “paese fantasma” ha iniziato a rinascere nel dopoguerra. Nelle case abbandonate si sono stabiliti pittori, scultori, artigiani e intellettuali e Calcata è diventato “il borgo degli artisti”. Accanto al Palazzo Baronale degli Anguillara e alla Chiesa del Santissimo Nome di Gesù sono sorti laboratori e botteghe, ma il paese non ha perso il suo fascino di luogo dimenticato dal tempo.

Alla suggestiva bellezza di Calcata contribuiscono anche diverse leggende, la più famosa delle quali è legata al “Santo prepuzio”. La reliquia sarebbe stata portata nel borgo da un Lanzichenecco, che l’aveva trafugata nel Sacco di Roma del 1527. Dopo essere stato catturato, il soldato ha nascosto i presunti resti del prepuzio di Gesù nella sua cella e lì sono rimasti fino a che sono stati ritrovati nel 1557. Da allora e per quattro secoli, la reliquia è stata conservata nella parrocchia del paese, compiendo – si dice – molti miracoli. Poi, come misteriosamente era apparsa, è scomparsa.

Poco distante dal centro storico di Calcata, inoltre, è allestito lo straordinario museo-laboratorio Opera Bosco, un’installazione d’arte moderna a cielo aperto, in simbiosi con la natura e in continua evoluzione.

6. Sant'Agata de’ Goti (Campania)

Sant’Agata de’ Goti ha due facce. Una moderna, che corrisponde all’abitato costruito a partire dalla fine del XIX secolo. E una antica, rappresentata dal borgo aggrappato a uno sperone di tufo alle falde del Monte Taburno. Quest’ultimo è stato fondato dai Sanniti e poi dominato a lungo dai romani, ma il suo aspetto attuale è il risultato della sovrapposizione nei secoli di numerosi popoli e usanze.

La mescolanza di influenze e culture diverse risuona fin dal toponimo. L’originaria Saticula è stata ribattezzata Sant’Agata nell’VIII secolo da due nobili fratelli Longobardi. La dicitura “de’ Goti”, invece, è successiva al 1100 ed è il risultato di una storpiatura del nome dei feudatari normanni che governavano la zona, i Drengot.

L’antico borgo è Bandiera Arancione del Touring e possiede un ricco patrimonio storico e monumentale.  La Chiesa di San Menna custodisce un pavimento a mosaico cosmatesco tra i più antichi della Campania, mentre nella Chiesa di Sant’Agata si trova uno straordinario ciclo di affreschi databile tra il XIV e il XV secolo. La Cattedrale dell’Annunziata – fondata nel 970, ricostruita nel Duecento e più volte rimaneggiata – è un’altra pregevole testimonianza d’architettura e arte sacra.

L’impianto urbano è punteggiato da diverse altre chiese, ma non solo. Tra le vie e le piazze del paese sorgono anche un fortilizio in pietra di tufo – il Castello Ducale di Sant’Agata de’ Goti – e il ricco Museo Diocesano.

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