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Le "Faggette Vetuste” d'Italia, Patrimonio Unesco

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La Conferenza generale UNESCO del 16 novembre 1972 ha sancito la nascita dei siti “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” e della relativa lista. Da allora, nell’elenco sono stati inseriti molteplici città, edifici, monumenti, opere d’arte e testimonianze eccezionali della storia e della cultura di tutti i paesi del mondo. Ma non solo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura ha selezionato e incluso tra i patrimoni anche paesaggi, luoghi e ricchezze naturali.

A questi ultimi appartiene il sito transnazionale delle Antiche faggete primordiali dei Carpazi e di altre regioni d’Europa (creato nel 2007), che rappresenta uno “straordinario esempio di foreste non disturbate dall’antropizzazione che si sono sviluppate dopo la fine dell’ultima era glaciale”. Le “faggete vetuste” del Vecchio Continente costituiscono un “esempio significativo” di “importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri” e – al momento – sono 94 in 18 paesi.

In Italia ne sono presenti ben 13, dopo che nel 2021 l’UNESCO ha aggiunto alla lista esistente l’area della Valle Infernale nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, l’area del Pollinello nel Parco Nazionale del Pollino e l’area Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra. Nella stessa occasione, sono state anche ampliate l’area di Cozzo Ferriero nel Parco Nazionale del Pollino e l’area di Falascone nella Foresta Umbra.

Oltre a rappresentare uno straordinario patrimonio naturalistico e ambientale, le faggete vetuste d’Italia sono anche luoghi di grande bellezza e ricchi di fascino. Se volete saperne di più e magari esplorarne una o più, qui trovate l’elenco completo e una piccola guida ai vari siti.

La faggeta della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino (Emilia-Romagna e Toscana)

Il bosco che copre il versante nord-est di Poggio Scali, sull’Appennino Tosco-Emiliano, doveva essere tagliato. Invece è diventato la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, la prima del genere a venire istituita in Italia (nel 1959). La decisione dell’allora amministratore delle Foreste Casentinesi, Fabio Clauser, ha salvato uno straordinario patrimonio naturalistico e una tra le faggete vetuste con gli esemplari più antichi d’Europa.

Il “cluster” a cavallo tra Emilia-Romagna e Toscana si estende per 700 ettari e comprende zone dove il Fagus sylvatica cresce quasi in purezza (oltre i 1.300 metri) e altre dove è mischiato a latifoglie e abete bianco. La faggeta di Sasso Fratino è un “concentrato” di biodiversità e conta ben 554 specie di funghi superiori, tra cui due di nuova scoperta (Fomitopsis labyrinthica e Ceriporiopsis guidella) e una che porta il suo nome (Botryobasidium sassofratinoense).  

Il bosco di faggi e più in generale il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna sono anche l’habitat di una delle popolazioni più importanti di lupo dell’Appennino. Inoltre ospitano il picchio nero (che si è stabilito qui nel 2000) e l’aquila reale, per la quale è stata documentata una “nidificazione straordinaria” su un abete di circa 40 metri (fatto raro in Italia).

In quanto Riserva Naturale Integrale, l’area di Sasso Fratino è chiusa al pubblico. Ma il territorio Patrimonio Unesco comprende altre zone di grande valore naturalistico, che possono essere esplorate attraverso vari percorsi e dalle quali sono visibili la zona interdetta e la faggeta.

La faggeta di Monte Cimino (Lazio)

La faggeta vetusta di Monte Cimino è la “selva oscura” cantata da Dante in La Divina Commedia? La suggestione esiste, ma le prove non sono certe e la concorrenza è spietata: la Selva di Filetto, la Selva del Lamone e l’Orrido di Botri rivendicano a loro volta l’onore di avere ispirato il Sommo Poeta. Per certo, la faggeta di Soriano è il “relitto” di un’antica ed estesa foresta, la Selva Cimina, che per Tito Livio era “impraticabile e spaventosa”.

Ma gli alberi che formano oggi la faggeta vetusta nel territorio di Viterbo non sono quelli descritti dallo storico romano. La maggior parte ha circa 150 anni, poi ci sono alcuni esemplari che superano i due secoli di età e altri decisamente più giovani. Quelli più vecchi sono anche i più imponenti e con i loro oltre 50 metri si piazzano tra i più alti d’Europa.

Il bosco di Fagus sylvatica del Monte Cimino custodisce un’antica torre e alcune testimonianze di insediamenti dell’Età del Bronzo, ma la sua attrazione più curiosa è la “rupe tremante”. Quest’ultima è un grande masso ovale che si trova in equilibrio precario su una sporgenza di roccia e può essere fatto oscillare in modo molto evidente usando un bastone come leva.

Il “sasso menicante” o “sasso naticarello” – come viene anche chiamato – è uno dei tanti massi eruttati tra oltre 1 milione e 800mila anni fa dal complesso vulcanico che ha dato origine ai rilievi dei Monti Cimini. La rupe tremante si trova nei pressi del parcheggio della faggeta ed è punto di partenza e tappa dei numerosi percorsi di trekking e mountain bike che attraversano l’antica foresta.

La faggeta di Monte Raschio (Lazio)

Il suolo vulcanico e la presenza dei laghi (oltre al non distante Mar Tirreno) hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della faggeta vetusta di Monte Raschio, nel Parco Regionale di Bracciano-Martignano. Il bosco di Fagus sylvatica nel Lazio cresce a una quota molto inferiore – tra 350 e 400 metri – rispetto a quelle usuali (ragione per cui è una “faggeta depressa”) ed è composta da alberi maestosi, alti fino a 30 metri.

La faggeta di Monte Raschio occupa circa 80 ettari dei 150 compresi nel cluster nominato Patrimonio dell’Umanità UNESCO e da diversi decenni non viene toccata dall’uomo. Questo fatto, insieme alla fertilità del terreno e all’umidità dei laghi di Bracciano e Martignano, ha determinato un forte aumento della “densità” del bosco.

I faggi crescono insieme ad altre latifoglie decidue e conifere e contribuiscono a comporre il paesaggio “completo e variegato” del parco. Più nello specifico, la faggeta di Monte Raschio è il “relitto” di un’estesa area boschiva che esisteva un tempo nella zona e presenta un ecosistema con diversi caratteri “primari”, ovvero risalenti a età molto antiche.

Nel territorio che si estende sul rilievo dei Sabatini sono anche presenti due importanti specie protette. La prima è il lupo, la seconda è un coleottero chiamato Rosalia alpina. Quest’ultimo è considerato il simbolo delle faggete UNESCO e la sua presenza è associata a un buono stato di stato di salute degli ambienti forestali.

Il sito del Monte Raschio può essere esplorato per mezzo di un facile itinerario ad anello, mentre nell’intero parco si sviluppano numerosi sentieri e due percorsi tematici chiamati “Ciclovie Sabatine”.

Le faggete di Val Fondillo, Coppo del Principe, Moricento, Val Cervara, Coppo del Morto (Abruzzo)

Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise custodisce ben cinque faggete vetuste: Val Fondillo, Coppo del Principe, Moricento, Val Cervara e Coppo del Morto. I cinque cluster si estendono per circa 1.000 ettari sui rilievi appenninici in provincia di L’Aquila e danno un’idea abbastanza precisa di come dovevano essere le “foreste primarie”. Le faggete vetuste abruzzesi non hanno subito quasi alcun intervento umano e sono caratterizzate da un’elevata naturalità e biodiversità.

Il sito della Val Fondillo è quello dove sono maggiormente visibili le rocce sedimentarie chiamate “dolomie”, che sono tipiche delle Alpi e conferiscono a questa zona dell’Appennino un aspetto peculiare. La faggeta di Coppo del Principe è l’habitat dell’orso marsicano – simbolo del parco – e di altre specie rare come il picchio dalmatino, il pipistrello barbastello, il coleottero Rosalia alpina e il tritone crestato. Il cluster di Moricento è uno dei meglio preservati e presenta una cospicua integrità ecologica.

Tutti e tre i siti custodiscono alberi centenari, ma i più antichi si trovano in Val Cervara e a Coppo del Morto. Il bosco di Fagus sylvatica di Villavallelonga vanta esemplari di oltre 560 anni – tra i più vecchi dell’emisfero settentrionale – e il primato di unica foresta primaria in Italia. Il cluster “conteso” tra Pescasseroli e Scanno presenta faggi di poco più “giovani” e non subisce interventi antropici da oltre cent’anni. In aggiunta, per la peculiare ubicazione a quote elevate e l’esposizione a sud, viene usato come “laboratorio” per studiare gli effetti del cambiamento climatico sulle foreste.

Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è solcato da una rete di sentieri che copre una distanza di più di 750 chilometri e in molti tratti attraversa o “lambisce” le faggete vetuste.

Le faggete di Falascone e Pavari-Sfilzi nella Foresta Umbra (Puglia)

Il nome trae in inganno: la Foresta Umbra non si trova nella quasi omonima regione, bensì nel Parco Nazionale del Gargano in Puglia. Ma allora perché si chiama così? Il dibattito è aperto. Alcuni vedono un collegamento con l’antico popolo degli Umbri, altri con l’aspetto “ombroso” del luogo. Quello che è certo è che custodisce delle faggete vetuste – tra cui la “new entry” di Pavari Sfilzi – caratterizzate da un elevato livello di conservazione e biodiversità, oltre che “sito rifugio” della specie durante il periodo glaciale.

I boschi di faggio pugliesi rappresentano un raro esempio di “faggeta mista” e comprendono esemplari molto antichi (fino a 350 anni) e molto alti (fino a 45 metri). Le dimensioni fuori dalla norma o “macrosomatismo” sono un fenomeno peculiare del Gargano e insieme alla grande varietà di specie vegetali e animali rendono la Foresta Umbra un luogo unico.

Le faggete dello “Sperone d’Italia” sono quelle più vicine al mare di tutta la penisola e il cluster nella Riserva Biogenetica di Falascone è l’habitat di ben 13 specie diverse di orchidee forestali. Nei boschi di Fagus sylvatica garganici trovano anche dimora i rari picchio rosso minore, picchio mezzano e picchio dalmatino, mentre il lupo è tornato ad abitare l’intera area.

La Foresta Umbra conta 15 sentieri trekking e mountain bike, un’area ludico-didattica per i bambini, un centro visitatori e uno sportello informativo.Tra i tracciati escursionistici ce ne sono uno adatto alle persone con disabilità motoria e altri che possono essere percorsi solo previa autorizzazione, perché si addentrano in aree a protezione integrale.  

Le faggete di Cozzo Ferriero e Pollinello (Basilicata e Calabria)

Le faggete vetuste di Cozzo Ferriero e Pollinello – nel Parco Nazionale del Pollino – sono tra le più meridionali d’Europa (insieme a quella della Valle Infernale). Tutte e due sono caratterizzate da una elevata naturalità e biodiversità e sono state un “sito rifugio” per la specie in epoca glaciale. Ma soprattutto entrambe coesistono in equilibrio con il pino loricato, vero e proprio “fossile vivente” e simbolo del parco.

Il bosco di Fagus sylvatica di Cozzo Ferriero si sviluppa a circa 1.750 sulla dorsale che segna il confine tra Basilicata e Calabria e vanta esemplari con più di 500 anni di età. Ma è la faggeta di Pollinello – riconosciuta Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2021 – a detenere il record della longevità. Nell’area compresa tra le cime del Pollino e del Dolcedorme si trovano faggi che hanno superato i sei secoli di vita.

Gli esemplari censiti nel nuovo cluster sono tra gli alberi più antichi d’Europa e prosperano – è proprio il caso di dirlo – in condizioni climatiche e ambientali estreme, spingendosi fino a 2mila metri di altitudine. La faggeta del Pollinello presenta una “struttura forestale complessa” e da oltre 80 anni non viene toccata dall’uomo.

Il Parco Nazionale del Pollino è percorso da numerosi sentieri che rappresentano un’occasione di scoperta non solo delle faggete, ma anche del pino loricato e delle numerose specie di piante e animali della zona. Nell’area protetta vivono moltissimi insetti, anfibi e rettili, comprese specie a rischio come la testuggine palustre e la testuggine comune. Inoltre sono presenti ben dodici rapaci diurni – tra i quali l’aquila reale e il capovaccaio – e mammiferi come il capriolo e il lupo, che ha qui un’area privilegiata di conservazione.

Nel territorio del parco si trovano anche diversi musei, centri visita e punti informazione ed è attiva una rete di guide ufficiali e guide ambientali specializzate.

La faggeta della Valle Infernale (Calabria)

La faggeta vetusta della Valle Infernale, nel Parco Nazionale dell’Aspromonte, è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 2021 ed è di fatto la più meridionale d’Europa. L’antico bosco di Fagus sylvatica si trova nel territorio di San Luca, in provincia di Reggio Calabria, e custodisce degli esemplari che sfiorano i 600 anni di età.

I faggi della Valle Infernale coesistono con abeti bianchi e aceri e hanno superato i secoli praticamente intatti perché crescono in una zona impervia e di difficile accesso, che ne ha scoraggiato lo sfruttamento. La mancanza di elementi di disturbo, insieme alla complessità strutturale e alla eterogeneità dell’ambiente, ha portato allo sviluppo di una elevata biodiversità e di alcune importanti “nicchie ecologiche”.

Ma tutto il parco è da sempre uno scrigno ricco di tesori vegetali e animali. L’ambiente variegato favorisce la crescita di numerose piante – tra cui la felce bulbifera gigante, relitto del Terziario, Woodwardia radicans – e offre un habitat ideale a mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e invertebrati. Tra quelli più caratteristici ci sono il lupo, il gatto selvatico, un piccolo roditore chiamato driomio, l’antichissima testuggine di Hermann e la rara farfalla Parnassius apollo.

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