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San Gregorio Armeno a Napoli: 6 curiosità sulla via dei presepi

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C’è una strada nel cuore di Napoli dove il presepe non è solo tradizione, ma arte. Via San Gregorio Armeno custodisce le botteghe dei “mastri presepai” ed è un simbolo del Natale e della città. 

L’usanza di rappresentare la Natività si è diffusa in Italia nel Duecento e nel corso dei secoli ha assunto connotazioni diverse nelle varie regioni. Il “presepe napoletano” è ambientato nella Napoli del Settecento ed è caratterizzato dalla presenza di personaggi del popolo, umili e derelitti.  

Le statuine sono in terracotta, hanno volti realistici ed espressivi e indossano abiti in stoffa finemente rifiniti. Le ambientazioni sono curate nei minimi dettagli e comprendono luoghi quotidiani come il mercato, l’osteria e il mulino. Nel presepe napoletano coesistono sacro e profano e in epoca recente ha trovato spazio anche l’attualità.

Gli artigiani di via San Gregorio Armeno aggiungono ogni anno nuovi personaggi alle loro collezioni: politici, attori, cantanti, sportivi e chi più ne ha più ne metta. Alcune statuine durano una stagione o poco più, ma altre diventano “nuovi classici”. Per esempio, Totò e Maradona.

Le botteghe dei mastri presepai sono una sorta di museo vivente, ma tutta la “via dei presepi” è piena di storia, arte e cultura. La tradizione vuole che in epoca classica nell’antico “stenoporo” (stretto passaggio) sorgesse un tempio dedicato a Demetra e che su di esso sia stato eretto il grande complesso di San Gregorio Armeno.

Perché un religioso di una remota regione al confine tra Europa e Asia sia il patrono di una chiesa di Napoli è un altro elemento che contribuisce a rendere speciale la via dei presepi. E lo stesso vale per la casa dove la tradizione vuole che sia nato San Gennaro. L’abitazione si trova all’angolo con via San Biagio dei Librai, ma sul luogo natale del vescovo e martire è in corso da tempo immemore una disputa tra Napoli e Benevento.

Se queste premesse vi hanno incuriosito e volete saperne di più, qui trovate 6 curiosità su via San Gregorio Armeno e le sue (tante) storie e tradizioni.

1. Un tempio greco tra i presepi

Era l’inizio del Seicento quando Giulio Cesare Capaccio ha scoperto il bassorilievo di una sacerdotessa di Demetra (Cerere per i Romani) nel muro di un edificio della via dei presepi. Il culto della dea della natura, del raccolto e delle messi era molto vivo nell’antica Neapolis e il ritrovamento ha alimentato l’ipotesi dell’esistenza di un tempio a lei dedicato dove è poi sorta la Chiesa di San Gregorio Armeno.

Nella religione pagana era uso portare nei templi delle statuette di terracotta per venerare gli dèi e alcuni ritengono che questo antico rito sia evoluto nei secoli fino a dare origine al presepe. Stabilire una connessione certa tra la (probabile) presenza di un luogo di culto dedicato a Demetra e la tradizione dei presepi di San Gregorio Armeno è azzardato. Ma la suggestione è entrata a fare parte della cultura popolare.  

Di sicuro, il bassorilievo della “canefora” di Demetra (una fanciulla che porta sul capo un canestro con gli oggetti di culto della dea) è visibile sotto l’arco della torre di San Gregorio Armeno. La preziosa testimonianza si trova all’incirca al livello della strada, tra gli espositori dei presepi.

2. Il presepe del popolo

L’invenzione del presepe viene attribuita a San Francesco per la rappresentazione della Natività che ha fatto la notte di Natale del 1223 a Greccio. Ma l’allestimento del “poverello di Assisi” comprendeva solo Gesù, l’asino e il bue. I primi presepi con la Sacra Famiglia e i Re Magi sono stati realizzati alla fine del secolo a Roma e Bologna e hanno dato inizio a una tradizione che ha preso piede in tutta Italia.

L’usanza ha incontrato grande riscontro a Napoli e ha subito un ulteriore impulso con l’arrivo in città di Gaetano Thiene nel 1534. Il “santo della provvidenza” è considerato l’inventore del presepe napoletano con l’introduzione di personaggi del popolo. Inoltre è ritenuto colui che ha dato inizio alla tradizione di allestire la Natività nelle chiese e nelle case in occasione del Natale.

La rappresentazione della nascita di Gesù ha continuato a evolversi nel Seicento. Sulla scena hanno iniziato a comparire umili, derelitti, luoghi e attività della vita quotidiana. L’usanza si è consolidata con Carlo III di Borbone nel Settecento – il “secolo d’oro” del presepe napoletano – e ha portato alla definizione dello stile barocco che identifica la scuola partenopea.

La rappresentazione campana della Natività è caratterizzata da una serie di elementi peculiari. L’umile Benino che sogna il presepe (e di fatto è colui che gli dà forma), il pastore con la bocca spalancata e le braccia levate al cielo davanti al miracolo della nascita di Gesù, il vinaio Cicci Bacco (retaggio delle divinità pagane), la zingara, le lavandaie, il pescatore e il cacciatore, i dodici bottegai (uno per ogni mese dell’anno), la meretrice, il monaco e i due compari sono alcuni dei personaggi tipici del presepe napoletano.

La tradizione partenopea comprende anche una serie di luoghi e tra quelli “classici” ci sono il mercato, il forno, l’osteria, il mulino, il ponte, il fiume, il pozzo e la chiesa.

3. Un santo venuto da Oriente

Via San Gregorio Armeno è per tutti la via dei presepi, ma perché si chiama così? Il santo al quale è intitolata non c’entra con la tradizione della rappresentazione della Natività. Invece è l’artefice della conversione al cristianesimo dell’Armenia.

Gregorio è nato nel piccolo stato caucasico intorno al 257 d.C., ma lo ha lasciato giovanissimo dopo che il padre ha assassinato il re Cosroe I. Il futuro fondatore e patrono della Chiesa apostolica armena è cresciuto in Cappadocia ed è stato educato alla fede cristiana da un nobile convertito.

Il santo ha votato la propria esistenza all’evangelizzazione del suo paese natale e ha finito con attirarsi l’ostilità del re Tiridate III. La tradizione vuole che il sovrano abbia condannato Gregorio a quattordici terribili torture e dopo lo abbia rinchiuso nella fortezza di Khor Virap (che in armeno significa “prigione in profondità”).

Gregorio ci è rimasto per tredici anni (qualcuno dice quindici), poi sarebbe accaduto un evento inspiegabile. La leggenda narra che Tiridate III abbia contratto una grave malattia e che la sorella abbia sognato che l’unico che poteva salvarlo era il predicatore rinchiuso a Khor Virap. Il re lo ha liberato e Gregorio lo ha guarito. A quel punto, Tiridate III si è convertito e ha proclamato il cristianesimo religione di stato.

Al di là del mito, l’”Illuminatore” ha portato avanti la sua campagna di evangelizzazione per diversi anni, venendo proclamato Supremo Patriarca (Catholicos) d'Armenia. In seguito si è ritirato a vita d’eremita e ha lasciato l’amministrazione della comunità cristiana ai figli Aristakes e Vrtanes.

La tradizione racconta che sia stato sepolto nel villaggio di Tharotan. Ma poi le sue spoglie sono state divise e sparse in varie località. A Etchmiadzin sarebbe conservata la mano destra, che viene utilizzata per benedire ogni nuovo Catholicos. Invece, quello che è ritenuto il cranio di San Gregorio si trova nell’omonima chiesa nella via dei presepi, dove è stato portato da alcune monache bizantine per sottrarlo alla persecuzione iconoclasta.

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4. Una chiesa, due nomi e tante storie

La tradizione racconta che la Chiesa di San Gregorio Armeno nell’omonima via sia stata fondata da Sant’Elena, la madre dell’Imperatore Costantino. Ma fonti storiche ritengono che a costruirla siano state alcune monache in fuga da Costantinopoli. Le suore hanno portato con sé le reliquie di San Gregorio e dalla devozione al santo ha avuto origine il nome.

La chiesa è detta pure di Santa Patrizia, perché dal 1864 custodisce le spoglie della religiosa bizantina. La santa di Costantinopoli è “compatrona” di Napoli e con San Gennaro condivide anche il prodigio della liquefazione del sangue (che nel suo caso, però, avviene più spesso).

Il nucleo originario di San Gregorio Armeno risale all’VIII secolo, ma la chiesa e il monastero hanno subito profonde trasformazioni tra il XV e il XVIII secolo. In questo periodo è stato costruito il campanile sull’antico ponte che univa la parte occidentale e orientale del complesso monastico (vero e proprio simbolo di via San Gregorio Armeno). Inoltre è stata edificata ex novo la chiesa barocca con lo straordinario soffitto a cassettoni di Dirk Hendricksz (anche detto Teodoro d'Errico).

Al XVI secolo risale pure il chiostro monumentale. Articolato in un giardino con una grande fontana marmorea e in un “orto dei semplici”, presenta tre belvedere (di cinque originari) che servivano a rendere meno faticosa la vita di clausura. 

E proprio le suore di San Gregorio Armeno avrebbero inventato uno dei dolci simbolo di Napoli, la pastiera. In realtà, la prima ricetta della famosa torta compare nel libro Lo scalco alla moderna del cuoco Antonio Latini e le monache l’avrebbero modificata e perfezionata. Per alcuni, le religiose avrebbero avuto un ruolo anche nell’invenzione delle zeppole di San Giuseppe. Ma l’attribuzione è incerta e “contesa” dalle sorelle di altri conventi di Napoli.

5. Un mistero per San Gennaro

Dov’è nato San Gennaro? All’angolo tra via San Gregorio Armeno e via San Biagio dei Librai c’è una casa che la tradizione vuole sia quella natale del patrono di Napoli. Ma la questione è complicata. Benevento rivendica a sua volta le origini del santo e a inizio 2000 ha messo sul piatto una piccola abitazione nel Rione Triggio.

Su un muro in pietra della casa nel Sannio è incisa la scritta “GVB”, che viene interpretata come acronimo di “Gennaro Vescovo Benevento”. Ma l’edificio è del XVIII secolo (mentre il santo è vissuto tra III e IV secolo) e non sarebbero state trovate tracce di costruzioni preesistenti più antiche. D’altra parte, non è possibile escludere che San Gennaro abbia origini sannite.

La Gens Ianuaria alla quale apparteneva il patrono di Napoli era molto diffusa nella zona e San Gennaro è stato Vescovo di Benevento in un’epoca in cui era il clero ad attribuire la carica (e non la Santa Sede). Di conseguenza, potrebbe avere ottenuto la nomina per la sua vicinanza alla chiesa locale.

Il “mistero” rimane e la scarsità delle fonti pone un grande punto interrogativo sulla possibilità di risolverlo. Di sicuro, la domus Ianuaria in via San Gregorio Armeno è diventata una meta di pellegrinaggio per i fedeli e un’attrazione per i turisti. 

6. Maradona ha le ali

Il presepe napoletano ha i suoi personaggi tradizionali, ma ogni anno si arricchisce di volti nuovi. L’attualità è entrata a fare parte della Natività partenopea e in tempi di pandemia sono comparsi medici, infermieri e Re Magi con il Green Pass. Molte statuine durano una stagione, ma qualcuna è diventata parte della tradizione.

Totò, Eduardo De Filippo, Pino Daniele sono ormai presenze consolidate e come loro Maradona. Il “Pibe de Oro” è un vero e proprio mito napoletano e il suo personaggio si è guadagnato un posto fisso nel presepe. La figurina “classica” del calciatore ha la maglia del Napoli con lo sponsor Buitoni e lo scudetto tricolore e la fascia da capitano. Ma dopo la scomparsa del campione, è stata affiancata da una versione un po’ diversa.

Il giorno dopo la morte di Maradona (il 25 novembre 2020), alcuni artigiani hanno voluto rendere omaggio al Pibe de Oro aggiungendo un paio d’ali alla statuina. Le polemiche non sono mancate, per via della vita privata del calciatore. Ma la figurina è rimasta ed è diventata di fatto uno dei “nuovi classici” del presepe napoletano.

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