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Tracce di Oriente in Italia: 8 architetture neomoresche

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Tra il XIX e il XX secolo – in Europa e negli Stati Uniti – si è affermato un gusto artistico e architettonico ispirato tanto al revival di antichi generi che alla cultura del Medio Oriente e dell’Asia Meridionale e Orientale. Lo stile neomoresco ha preso forma in questo contesto ed è una rivisitazione di quello che si è sviluppato tra l’XI e il XV secolo in Spagna e nel Maghreb.

L’originale stile moresco è detto così dal modo in cui erano chiamati nella Penisola Iberica gli invasori che provenivano dall’Africa del Nord – “Moros”– ed è caratterizzato da forme essenziali e fastosi decori. La bellezza e il fascino esotico di edifici come l'Alhambra di Granada e la Grande Moschea di Siviglia hanno conquistato ricchi e aristocratici al di qua e al di là dell’oceano e hanno ispirato castelli, palazzi e ville. Ma non solo.

Gli ebrei d’Europa hanno scelto lo stile neomoresco per le sinagoghe costruite dopo l’“emancipazione”, il riconoscimento della religione e dei diritti del popolo israelitico. Il grandioso Leopoldstädter Tempel di Vienna è diventato il modello di riferimento dei nuovi edifici di culto e di fatto sopravvive in essi dopo essere stato distrutto nella Notte dei Cristalli.

In Italia esistono sia sinagoghe che edifici privati che esprimono il gusto esotico che ha preso piede tra Ottocento e Novecento. Alcuni presentano uno stile puramente arabeggiante, ma più spesso sono contaminati da elementi che fanno parlare di uno stile neomoresco “predominante” all’interno di un linguaggio eclettico.

Qui trovate otto tra i più rappresentativi per compiere un viaggio in paesi lontani… senza superare i confini nazionali!

1. La sinagoga di Torino (Piemonte)

Torino è sede della più importante comunità ebraica del Piemonte – la terza in Italia – e ospita una suggestiva sinagoga. L’edificio è stato costruito per celebrare la liberalizzazione del culto israelitico e l’emancipazione dal ghetto, ma non è quello pensato all’inizio. Il primo progetto era opera del famoso architetto Alessandro Antonelli e rendeva omaggio all’allora capitale del regno con una struttura monumentale.

I lavori sono iniziati nel 1863, ma l’ambizione dell’opera si è rivelata esagerata. I costi sono diventati insostenibili e la comunità ebraica ha ceduto l’edificio (incompleto) al comune, optando per una sinagoga di dimensioni più contenute. Il nuovo progetto è stato affidato all’architetto Enrico Petiti ed è stato completato nel 1884.

Il risultato è un tempio dall’aspetto moresco – com’era usanza all’epoca, per marcare la differenza con gli edifici cristiani – con quattro alti torrioni sormontati da altrettante grandi cupole a cipolla. L’interno era riccamente decorato, ma un bombardamento nel novembre del 1942 ha provocato gravissimi danni, lasciando in piedi solo i muri. La sinagoga è stata ristrutturata e ridecorata nel 1949 e nel 1972 è stata arricchita con un altro tempietto e una sala di preghiera.

Entrambi si trovano nei sotterranei dell’edificio e la piccola sinagoga conserva un’arca santa (Aròn) e un pulpito (Tevàh) di pregevole fattura provenienti dal tempio israelitico di Chieri, che era stato smantellato. Un altro prezioso Aròn di epoca settecentesca è custodito nella sala di preghiera. L’arredo sacro arriva da una sinagoga di rito tedesco e presenta le ante dipinte di nero in segno di lutto per la morte di Carlo Alberto di Savoia (che aveva firmato il decreto che liberalizzava la religione ebraica).

Ma che fine ha fatto la monumentale opera di Antonelli? Il progetto del grande architetto non è stato abbandonato e dopo lunghi lavori e molte peripezie è diventato il simbolo di Torino: la Mole Antonelliana. 

2. La sinagoga di Vercelli (Piemonte)

Alla pari di altri in Italia, il tempio israelitico di Vercelli è un esempio di “sinagoga dell’emancipazione”, ovvero costruita dopo la liberalizzazione della religione ebraica ad opera di Carlo Albero di Savoia nel 1848. L’edificio sorge nell’ex ghetto ed è ispirato allo stile moresco che si era affermato in Europa sul modello del grandioso Leopoldstädter Tempel di Vienna (distrutto dai nazisti nella Notte dei Cristalli).

La sinagoga di Vercelli ha dimensioni imponenti – per erigerla è stato necessario abbattere un intero isolato del ghetto – e il progetto è opera dell’architetto Marco Treves, che aveva già ideato il tempio ebraico di Firenze. Dopo lunghi studi preparatori, i lavori sono iniziati nel 1874 e si sono conclusi quattro anni dopo, sotto la supervisione dell’architetto Giuseppe Locarni.

L’edificio presenta un aspetto orientaleggiante, con torrette e torrioni sormontati da cupole a cipolla, colonnati, archi a ferro di cavallo e una fitta merlatura. La facciata è caratterizzata da un motivo di bande in arenaria bianche e azzurre, mentre l’interno è a tre navate e custodisce un’arca santa (Aròn) decorata con otto formelle bronzee che riproducono gli arredi del Santuario di Gerusalemme.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la sinagoga di Vercelli ha attraversato un lungo periodo di degrado. In seguito è stato avviato un importante intervento di restauro, che nel 2003 ne ha permesso la riapertura.

3. Villa Crespi (Piemonte)

Cosa ci fa un minareto tra le montagne del Verbano-Cusio-Ossola? In realtà l’edificio dall’aspetto arabeggiante che domina Orta San Giulio non è un luogo di culto, bensì una residenza privata. A costruirla è stato il “pioniere dell’industria cotoniera” Cristoforo Benigno Crespi, che si è ispirato alle architetture che aveva ammirato durante i suoi viaggi di lavoro in Medio Oriente.   

Villa Crespi – in principio Villa Pia, dal nome della moglie dell’imprenditore – è stata realizzata nell’arco di trent’anni alla fine dell’Ottocento. I lavori sono stati seguiti dall’architetto Angelo Colla, che grazie al mecenatismo del committente ha realizzato una vera e propria dimora da “mille e una notte”.

La villa in stile neomoresco si sviluppa su tre piani ed è un tripudio di decori in stucco a stampo di gusto orientale, archi rialzati, colonne di vari tipi di marmi pregiati, finestre intarsiate e mura ornamentate. Le cinque sale del piano terra sono caratterizzate ciascuna da rivestimenti e arredi diversi, mentre il vestibolo presenta un pregiato pavimento di mosaico alla palladiana o “seminato veneziano”.

Villa Crespi è stata di proprietà dell’omonima famiglia fino al 1929, poi è passata ai Fracassi Ratti Mentone di Torre Rossano ed è diventata il luogo di elezione di poeti, aristocratici e industriali (compreso il Re Umberto I di Savoia). Dagli anni ’90 del Novecento appartiene al celebre chef Antonino Cannavacciuolo e alla moglie, Cinzia Primatesta, e ospita un ristorante due stelle Michelin e un albergo di lusso.


4. La Rocchetta Mattei (Emilia-Romagna)

Immersa nei boschi che coprono i rilievi dell’Appennino Tosco-Emiliano intorno a Grizzana Morandi, la Rocchetta Mattei è un castello da “mille e una notte”. A costruirla nel XIX secolo è stato il conte Cesare Mattei, che voleva un luogo dove dedicarsi allo studio e alla pratica della medicina da lui inventata, l’elettromeopatia.

La terapia – ispirata a molteplici discipline, dall’omeopatia all’alchimia – è stata messa a punto dal nobile bolognese dopo la morte della madre per un tumore e la Rocchetta ne è la “rappresentazione pietrificata”. Le torri sormontate da cupole, i finestroni ad arco, le colonne istoriate e i decori di ispirazione araba si mescolano a elementi medievali e liberty, in un dialogo continuo tra estetica e funzionalità, scienza ed esoterismo.

Il nucleo principale del castello è stato costruito tra il 1850 e il 1859, ma i lavori sono proseguiti ancora per trent’anni. Dopo la morte del conte, la Rocchetta ha subito altri rimaneggiamenti a opera degli eredi. Poi, con lo scemare del (grande) successo dell’elettromeopatia, anche la costruzione ha iniziato a declinare. Il maniero è stato razziato e gravemente danneggiato dai nazisti, al punto che i discendenti di Mattei lo hanno offerto gratuitamente al Comune di Bologna e poi lo hanno venduto.

I nuovi proprietari hanno cercato di avviare un’attività turistica, ma l’impresa non ha avuto successo e la Rocchetta è stata abbandonata al suo destino. A salvarla dall’oblio e dal degrado è stato un comitato di abitanti della zona, che ha fatto in modo di riaccendere le luci sul castello e sulla sua storia. Il maniero è stato comprato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna (Carisbo) e dopo un lungo restauro è stato aperto al pubblico.

5. Il Castello di Sammezzano (Toscana)

Il Castello di Sammezzano, nel cuore della Toscana, viene descritto da più parti come “il più importante esempio di architettura orientalista in Italia” ed è un’affermazione difficile da smentire. Il maniero così com’è ora è stato progettato e realizzato dal marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona tra il 1842 e il 1890, ma la sua storia è più antica.

A quanto pare, un insediamento esisteva già in epoca romana. Dopo è diventato una fortezza medievale – si narra che ospitò Carlo Magno di ritorno da Roma, dove aveva fatto battezzare il figlio – e poi una tenuta di caccia. Il castello e il grande parco intorno hanno avuto diversi proprietari (tra cui i Medici), fino a che nel XVII secolo sono stati acquisiti dagli Ximenes d'Aragona.

Ferdinando era un uomo eclettico, uno studioso e un raffinato collezionista e a Sammezzano ha realizzato il suo “Sogno d’Oriente”. Il marchese non ha mai visitato i luoghi che tanto lo appassionavano, ma ha costruito il castello attraverso un meticoloso lavoro di ricerca, occupandosi in prima persona del progetto.

Il risultato è una grandiosa costruzione nel segno dell’architettura e dell’arte moresca, che fin dall’esterno rivendica la propria straordinarietà con la duplice facciata che simboleggia e omaggia il sole e la luna. All’interno, l’orientalismo del maniero prende forma in un tripudio di cupole ad archi intrecciati, colonne, stucchi, fregi, decori e colori che evocano il mondo arabo, ma anche indiano e spagnolo.

Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona era pure un appassionato botanico e di pari passo al maniero ha “ristrutturato” il parco che lo circonda. Il marchese ha piantato numerose piante rare ed esotiche, tra cui le imponenti Sequoia sempervirens e Sequoiadendron giganteum, e ha valorizzato le specie indigene e tipiche del territorio. 

Ma la storia e la bellezza “fuori dall’ordinario” del Castello di Sammezzano non sono riuscite a salvarlo da un triste destino. Dopo la Seconda Guerra Mondiale – durante la quale è stato razziato dai nazisti – il maniero è andato incontro a una serie di passaggi di proprietà e oggi versa in stato di degrado. Per il suo recupero si battono da tempo il Comitato F.P.X.A. e il Movimento Save Sammezzano, che lottano (anche) perché non venga trasformato in un resort dalla società inglese che lo possiede.

Il Castello di Sammezzano è stato aperto in via eccezionale in alcune occasioni organizzate dal Comitato F.P.X.A. e dal Fondo Ambiente Italiano, ma non è visitabile.

6. La sinagoga di Firenze (Toscana)

La sinagoga con la grande cupola di rame verde è uno degli elementi peculiari della skyline di Firenze ed è uno dei più significativi esempi di architettura neomoresca in Italia e in Europa. Il “tempio maggiore israelitico” del capoluogo della Toscana è stato costruito tra il 1874 e il 1882, ma la comunità ebraica fiorentina discuteva già nel 1847 di erigere un nuovo luogo di culto al posto delle due vecchie sinagoghe.

A impedire di realizzare il progetto era la mancanza di fondi. Problema che ha trovato soluzione nel 1868, quando il presidente dell'Università Israelitica di Firenze, David Levi, ha lasciato i suoi averi alla città per la costruzione di un tempio “degno di Firenze”. Il progetto è stato affidato all’architetto Marco Treves – coadiuvato dai colleghi Mariano Falcini e Vincenzo Micheli e dall'ingegnere Eugenio Cioni – ed è costato la ragguardevole somma di un milione di lire dell’epoca.

La sinagoga di Firenze è stata costruita al di fuori di quelli che erano i confini del ghetto, nel quartiere della “Mattonaia”, ed è un imponente edificio rivestito in travertino bianco e pietra calcarea rosa. La facciata presenta un portico con tre arcate a ferro di cavallo, mentre l’interno è decorato con arabeschi lumeggiati d’oro e motivi geometrici.

Il tempio è aperto al pubblico e ospita il Museo ebraico, che ripercorre la storia della comunità ebraica della città e custodisce una ricca collezione di oggetti e arredi cerimoniali usati in sinagoga e nel culto domestico.

7. Villa Sticchi (Puglia)

Le dimore storiche in stile eclettico sono un elemento peculiare del Salento. Le due coste del “tacco” d’Italia sono punteggiate da edifici dalle forme e dai decori straordinari e Villa Sticchi a Santa Cesarea Terme e una delle più famose. La grande costruzione sorge su uno sperone di roccia a picco sul mare ed è caratterizzata da un inconfondibile aspetto arabeggiante.

Il grandioso edificio è stato realizzato tra il 1894 e il 1900 da Giovanni Pasca – l’imprenditore che per primo si è aggiudicato lo sfruttamento delle terme di Santa Cesarea – ed è diventato il simbolo della località turistica. La grande cupola rossa, il lungo porticato intarsiato da archi sorretti da colonne tortili, il loggiato splendidamente decorato e i colori vivaci – seppure sbiaditi da sole – evocano le atmosfera lontane del Medio Oriente.

Villa Sticchi è un emblema dello stile moresco ed è comparsa più volte al cinema e in televisione. La sua “apparizione” più celebre è nel film Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene, in cui la voce del poliedrico artista leccese la introduce così: “[…] un palazzo moresco, denunciato dal salmastro, orientale, come un riflesso sbiadito. Scrostato sotto le volte degli archi e sulle cupole […]”.

8. Palazzo Mazzone (Sicilia)

L’incontro tra revivalismo e orientalismo, a Catania, ha prodotto un linguaggio neomoresco caratterizzato da una forte componente liberty e – di fatto – improntato all’eclettismo. Lo stile arabeggiante è presente in maniera più o meno marcata in diversi edifici della  “città dell’elefante”, ma quello dove è più visibile è Palazzo Mazzone.

La dimora nobiliare all’angolo tra via Umberto e via Grotte Bianche è stata realizzata all’inizio del Novecento dall’architetto Tommaso Malerba, uno tra i principali artefici del “Liberty di Catania”. Influenzato dall’Art Nouveau francese e tedesca, Malerba ha mescolato le linee sinuose e i motivi ornamentali naturalistici dello “stile floreale” con la semplicità strutturale e i voluttuosi decori dell’architettura islamica.

Il risultato è un intreccio inestricabile di linguaggi e suggestioni. Palazzo Mazzone si sviluppa in modo elegante ed essenziale verso l’alto, mentre la facciata è movimentata da una sequenza di pieni e vuoti, creati da piccole logge delimitate da paraste aggettanti e da un variegato sistema di archi e trabeazioni.

Tommaso Malerba ha dedicato l’edificio alla moglie, la baronessa Annina Pilo di Capaci, conosciuta durante un soggiorno a Venezia. E proprio per questo dettaglio, oltre che per una evidente somiglianza tra il palazzo catanese e quelli della Serenissima, alcuni ascrivono la dimora in via Umberto (anche) allo stile veneziano.

9. La Sartiglia di Oristano (Sardegna)

Il Carnevale di Oristano è una cosa sola con la Sartiglia, una giostra a cavallo che affonda le sue origini nei giochi militari per l’addestramento delle milizie. La Sartiglia si corre la domenica e Martedì Grasso, con il patrocinio di due corporazioni diverse: il Gremio dei Contadini e il Gremio dei Falegnami. Il protagonista è “su Componidori”, una maschera che è allo stesso tempo uomo e donna.

La Sartiglia ha un rituale complesso e culmina nel tentativo di su Componidori di “cogliere” un anello a forma di stella con la spada e con la lancia (“su stoccu”). Il “Re della Festa” ha due occasioni per riuscirci (così come i suoi due luogotenenti), mentre i cavalieri che sceglie dal corteo che lo segue hanno solo un tentativo. Al termine della giostra, su Componidori benedice la folla galoppando sdraiato all’indietro. Dopodiché iniziano le “pariglie”, spericolate esibizioni a cavallo eseguite da gruppi di tre cavalieri.


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